CONTESTO: STORIA VERSUS LUOGO
Nel visitare il Museo degli Uffizi a Firenze ci si imbatte in un grande quadro, una Venere di Tiziano. Si tratta di un dipinto in cui la figura della donna nuda, in particolare la precisa curva del suo corpo, si stagliano su uno sfondo diviso in due parti. Una metà è completamente nera: possiamo ipotizzare anche che sia una tenda, ma la sua realtà è solo quella di un astratto e scuro impedimento alla vista, privo di profondità. Nella parte attigua, l’altra metà del campo visivo, succede esattamente l’opposto: allo scuro si sostituisce la luce, alla vicinanza ridotta la profondità di campo, all’astrazione un mondo figurato, al bianco e nero il colore, fino al piccolo cane che diventa punto di fuga della prospettiva.
La descrizione di quel dipinto sembra coincidere con la descrizione di un’opera architettonica di Le Corbusier: l’unione degli opposti è quello che tiene insieme il pittore con l’architetto, si potrebbe sinteticamente dire. E non a caso, sfogliando i carnet del viaggio in Italia del giovane architetto svizzero nel 1911, si trova il resoconto della visita agli Uffizi, completa di uno schizzo di quel dipinto, legittimandoci a pensare che ciò che rese degno il quadro di essere annotato nei famosi carnet sia proprio la rappresentazione di quell’unione dei contrasti.
Questa vera e propria idea di architettura, che vede nel concetto di unità la sintesi compositiva di sistemi più complessi e opposti, sembra essere oggi tra le più ricche per il progetto contemporaneo sulla città. È infatti quella che ci permette di leggere la complessità dei tessuti urbani, ma anche l’organismo architettonico come montaggio di elementi che trovano un loro senso nella loro relazione. È ormai da tempo che il sistema delle relazioni tra le parti, e non più la definizione formale delle parti, è diventata il vero e proprio momento di acquisizione di consapevolezza del progetto, potremmo dire la sua attualità: si vede il contemporaneo come occasione particolare di definizione di nuovi rapporti.
Ma la Venere di LC ci parla anche di un’altra cosa: ci racconta degli occhi degli architetti che cercano e che pescano nel passato il loro futuro, in continuità.
(Il bellissimo concetto di Eliot, secondo cui ogni nuova opera modifica il passato.)
Rendere attuale il passato, la storia. Dobbiamo parlare di attualità perché, come vedremo, il rapporto che l’architetto stabilisce con il tempo è proprio uno dei nodi teorici fondamentali su cui basare un discorso sul progetto contemporaneo nei contesti storici. Contemporaneo dunque, nella doppia accezione di poter riconoscere i temi dell’attualità, ma anche la ricerca di quanto al contemporaneo è oggi necessario.
Si è provato ad utilizzare la potenzialità dell’architettura di tenere insieme opposti, complessità diverse e complementari, sotto un’unità, verificando come opposti i due concetti fondamentali della progettazione nel contesto: il Luogo e la Storia.
In questo senso riconosciamo al concetto di Luogo tutta l’oggettività dell’architettura, quasi a farlo coincidere con l’architettura stessa. Alla Storia, anzi alle tante storie possibili, riconosciamo invece il concetto di soggettività.
Al luogo accostiamo il progetto, mentre alla storia il progettista che la sceglie, in questo senso oggetto e soggetto.
Ci ricorda Lucien Febvre: ogni epoca si costruisce mentalmente la sua rappresentazione del passato storico. La sua Roma e la sua Atene, il suo Medioevo e il suo Rinascimento […] La storia si scrive per il presente.
Prima di entrare nel specifico dello scontro nel contesto, occore prima ricollocare brevemente i due termini: il Luogo è presenza, mentre la storia si scrive per il presente. (Borges ogni scrittore si costruisce i suoi predecessori)
Questo presuppone due atteggiamenti opposti per la storia: l’uso soggettivo della storia che si fa nel progetto e l’uso oggettivo della storia che si deve fare nella ricerca storica. A noi interessa quello del progetto.
Faccio esplicito riferimento ad una idea di storia senza tempo.
Qualcosa di molto simile a quello che faceva nel suo Atlante Aby Warburg: scardinare la linearità storica a favore dei temi. L’origine è la meta, il famoso aforisma di Kark Krauss, citato da W. Benjamin nelle tesi di filosofia della storia, presuppone che in ogni istante è compresa la totalità del tempo, e sono quindi comprese in ogni istante, l’origine e la fine. Un tempo pieno di attualità.
(John Berger individuava nella rivoluzione francese un cambio della storia: da guardiano del passato a promotrice del futuro. Si è smesso di parlare dell’immutabile per gettarsi nelle leggi implacabili del cambio. Da quel momento la storia si intende come progresso.)
Siamo dunque interessati a storici che riprogettano un’opera, o ad architetti che fanno i loro progetti con le opere del passato (vedi Aldo Rossi e Boullè)
Il Luogo nella cultura italiana ha invece un significato preciso: non credo sia necessario oggi ripercorrere il senso della ricerca sulla morfologia urbana, sembra invece più utile cogliere i punti di aridità di una teoria che vedeva coincidere Luogo e Storia, non riconoscendo alla storia il suo vero significato soggettivo.
Nella storia occorre intervenire con scelte soggettive.
Ma quando si parla di Luogo, occorre prima precisare, nel confronto con il contesto, se si è interessati a conoscere il luogo o a costruire un luogo.
Basti pensare alla bella definizione che da Cacciari sulla differenza tra Polis e urbs, l’una tesa a mantenere la tradizione di una nazione, l’altra alla fondazione di una legge utile a costruire un futuro che tenga insieme cose diverse.
(memoria deve essere immaginativa, mai clinica di ricordi. Pericolo per i centri storici è memoria come museo).
Hejduk citando Pasolini si auspica l’avvento di un’architettura che cessi di riprodurre la realtà attraverso la sua evocazione, ma stando in continuità con questa. Non un uso della storia e una lettura del luogo nostalgico, dunque, ma un uso riattualizzato del tema progettuale.
Il luogo si offre dunque tutto nella sua realtà, nella sua oggettività. Mi ricorda quanto diceva JNB su Brancusi: inventario di forme e di archetipi in evidente presenza, in cerca di un contenuto. E solo la soggettività, la continua attualità della storia ci permette di sceglierne una, sia questa appartente a quel luogo come una data, un’idea tipologica, un assetto morfologico, sia questa catapultata da un altro mondo, ma scelta per la sua capacità di compiere un tema, per costruire il nuovo luogo.
Ricordiamo che il contrasto funziona solo su un inciso germinale già iniziato (vedi Adorno su Schoenberg), in questo senso il luogo come base architettonica su cui si può variare (vedi Gardella a Genova). E se la città è il luogo per eccellenza in architettura, si è pensato di indagare due contesti urbani, e le diverse soluzioni architettoniche che su questi luoghi hanno confluito, proprio a partire dalla contrapposizione di Luogo e Storia.
Si tratta di un tratto di Corso Italia a Milano, dove si trovano tre architetture molto diverse, dello studio BBPR, di Luigi Moretti e di Luigi Caccia Dominioni, ciascuna esponente di una storia particolare, tutta dimostrata nella continua lotta della città tra la sua vocazione a griglia regolare e la sua realtà monocentrica;
L’apertura di Corso Italia alla fine dell’ottocento a Milano può essere letta come una violenza nella forma urbis di quel luogo, il secondo esempio è invece a Genova, in quella collina di Castello dove si confrontano il progetto del Museo di Sant’Agostino di Franco Albini, con la Facoltà di Architettura di Gardella; dove il primo affronta il luogo nella totale adesione tipologica e ne affronta il solo avanzamento linguistico, mentre l’altro obbliga il tipo astratto, che potremmo assimilare ad un momento storico, a ripensare il suo uso nel luogo.
Poznan, 22 maggio 2009
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