Le riviste d’architettura di Luigi Moretti ed Ernesto Nathan Rogers nella Milano degli anni cinquanta

Esiste un ruolo teorico che le riviste di architettura possono assumere? E quali sono gli strumenti messi in atto?
Il confronto tra due riviste italiane, pubblicate a Milano negli anni cinquanta, Spazio e Casabella, ci rivela l’importanza di due casi esemplari e, nello stesso tempo, l’attualità di una riflessione sugli strumenti di comunicazione dell’architettura, in particolare sulla relazione che si stabilisce tra testo e immagine, sul confronto con le altre discipline artistiche o sul rapporto con la storia.
In questo ambito, la cultura architettonica italiana vede in due maestri riconosciuti, Luigi Moretti e Ernesto Nathan Rogers, la possibilità di riformulare ed articolare un nuovo modo di educare all’architettura.
Certo è, infatti, che entrambi gli autori analizzati non hanno cercato di rifondare un discorso teorico sull’architettura in maniera sistematica, non hanno mai scelto di condensare il proprio pensiero in un summa teorica, bensì hanno trovato nello strumento rivista, nell’occasione di una pubblicazione periodica e collettiva, una loro coerente modalità di trasmissione critica e aperta del sapere.
Attraverso il confronto delle caratteristiche iconografiche e critiche di queste due riviste milanesi, possiamo sottolineare alcune evidenti analogie rispetto alla capacità comunicativa dei loro direttori, soprattutto quando questi riescono a trasmettere una posizione fortemente propositiva, potremmo dire teorica, senza volerla costringere nelle pagine ingessate dell’accademia e della sistematizzazione saggistica; in questo aiutati da una comune passione per la libertà esplicita delle immagini fotografiche, spesso attraverso l’uso del ritaglio.
Gli esiti sono conseguentemente molto diversi: nel caso di Luigi Moretti la mente corre al fascino delle sue architetture, quasi mai pubblicate sulla rivista, ma così presenti nelle nostre menti per la loro forza iconica, mentre nel caso di Rogers educatore il lascito sembra essere affidato alla matita, così diversa, degli allievi.

CONTINUITY and DISCONTINUITY in CASABELLA E SPAZIO
The architecture magazines by Luigi Moretti and Ernesto Nathan Rogers in Milan of the fifties

There is a theoretical role that architecture magazines can take? And what are the tools put in place? The comparison between two Italian magazines, published in Milan in the fifties, Spazio and Casabella, reveals the importance of two exemplary cases and, at the same time, the relevance of a reflection on the communication tools of architecture, in particular on relationship established between text and image, and on comparison with other artistic disciplines or the relationship with history. In this context, the Italian architecture sees in two acknowledged masters, Luigi Moretti and Ernesto Nathan Rogers, the ability to reformulate and articulate a new way of educating to architecture. Sure it is, in fact, that both authors analyzed have not tried to re-establish a theoretical discourse on architecture in a systematic way, they never chose to condense their thoughts in a theoretical summa, but found in the tool magazine a rigorously transmission mode and open criticism of knowledge. Through the comparison of iconographic characteristics and criticism of these two magazines in Milan, we can point out some obvious similarities with respect to the communication skills of their authors, especially when they are able to convey a strongly proactive, we could say theoretical message; helped in this by a shared passion for the freedom of photographic images, often through the use of the crop. The results are therefore very different: in the case of Luigi Moretti the mind turns to the charm of its architecture, almost never published in the journal, but so present in our minds for their iconic power, while in the case of Rogers educator’s legacy seems to be entrusted in the pencil, so different, of his young contributors.

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Teorie dell’architettura e riviste

Esiste un ruolo teorico che le riviste di architettura possono assumere? E quali sono gli strumenti messi in atto?
Il confronto tra due riviste italiane, pubblicate a Milano negli anni cinquanta, Spazio e Casabella, ci rivela l’importanza di due casi esemplari e, nello stesso tempo, l’attualità di una riflessione sugli strumenti di comunicazione dell’architettura, in particolare sulla relazione che si stabilisce tra testo e immagine, sul confronto con le altre discipline artistiche o sul rapporto con la storia.
Le prime riviste di architettura del novecento sono state strettamente legate ad un’idea di attualità e di modernità che i manifesti e le figurazioni delle avanguardie artistiche avevano ben interpretato, ma dopo la guerra il senso delle riviste ha cambiato direzione. La perentorietà delle affermazioni e il carattere entusiastico degli scritti degli anni venti hanno lasciato posto alle criticità, ai dubbi e alla messa in discussione dei dogmi del Movimento Moderno che, nei diversi paesi europei, si esprimono con nuovi temi di dibattito, realtà editoriali e luoghi di incontro.

In questo ambito, la cultura architettonica italiana vede in due maestri riconosciuti, Luigi Moretti e Ernesto Nathan Rogers, la possibilità di riformulare ed articolare un nuovo modo di educare all’architettura. O almeno intuisce la necessità di una pluralità di modi di farlo.
Certo è, infatti, che entrambi gli autori analizzati non hanno cercato di rifondare un discorso teorico sull’architettura in maniera sistematica, non hanno mai scelto di condensare il proprio pensiero in un summa teorica, bensì hanno trovato nello strumento rivista, nell’occasione di una pubblicazione periodica e collettiva, una loro coerente modalità di trasmissione critica e aperta del sapere.
Se volessimo tentare una similitudine, confrontare il contesto scelto con un altro periodo storico, potremmo rifarci al manierismo, per quella stessa capacità di conoscere in profondità un linguaggio, poterlo criticare da dentro, anche con ironia, e nello stesso tempo cercarne con passione la continuità, nel progresso dei temi della modernità. L’analogia con altri periodi storici è una consuetudine appresa nello sfogliare le due riviste in questione, basti pensare alle fotografie dell’architettura antica che si snocciolano in Casabella-Continuità o al Barocco che deborda dalle pagine di Spazio.

Possiamo quindi dire che queste due pubblicazioni periodiche assumono un ruolo fondativo di un nuovo modo di comunicare l’architettura, meno diretto, meno impositivo, più teso alla formazione di un pensiero critico e in cui il ruolo del lettore diventa finalmente attivo. Il loro messaggio assume quindi quel carattere di generalità ed attualità che ci restituisce il senso di rileggerle oggi, in un momento in cui ogni teoria forte è stata messa in discussione, ma in cui l’architettura ha ancora la necessità operativa di ragionare sui suoi valori formali.

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Le riviste e i loro autori

Luigi Moretti dirige la rivista Spazio dal 1950 al 1953, Ernesto Nathan Rogers pubblica a Milano la rivista Casabella-Continuità dal 1953 al 1964. Le differenze tra le due testate è evidente ad un primo sguardo.
Se Spazio è pubblicato per soli sette, folgoranti, numeri, Casabella-Continuità assume per molti anni il ruolo di riferimento per la formazione della nuova cultura architettonica italiana e per il dibattito internazionale.
Se Spazio è pensata, diretta e impaginata da un’unica persona, dalla forte personalità dell’architetto collezionista d’arte Luigi Moretti, Casabella-Continuità vede nel professor Ernesto Nathan Rogers il catalizzatore di un gruppo di intellettuali di diverse provenienze ed età.
Se il direttore di Spazio inizia le sue pubblicazioni appena uscito da un periodo in carcere, dovuto alla sua pesante compromissione con il fascismo, il direttore di Casabella-Continuità era invece rientrato in Italia dopo l’anonimato e l’esilio forzato in Svizzera durante la guerra, a causa delle leggi razziali italiane.
Se Spazio sintetizza nel suo titolo l’esito del pensiero teorico di un grande architetto – costruttore maturo, Casabella riprende la pubblicazione di una già nota rivista nata nel 1928, che aveva portato in Italia la voce del Movimento Moderno sotto la direzione di Giuseppe Pagano, e gli aggiunge il termine Continuità, ad alludere in primis alla necessità di riannodare i fili interrotti dalla guerra, ma anche a ricercare un legame con una tradizione più in generale.
Due contesti culturali, due personalità, e due modi di fare architettura molto diversi per le due testate.

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Luigi Moretti, nato a Roma nel 1906, aveva già avuto occasione di costruire, prima della guerra, una serie di edifici rappresentativi a Roma; ci basti ad introdurre il suo lavoro una immagine precisa, una sola enigmatica fotografia, che ritrae con un singolare punto di vista la Sala della Scherma, realizzata nel 1933 all’interno della Casa del Balilla a Trastevere. Il taglio dello scatto fotografico accentua, deforma, lo spazio longitudinale della sala, introducendo una linea diagonale, obliqua, che scorcia e nello stesso tempo imprime movimento allo spazio interno. Si racconta che Moretti fosse molto attento alle riprese delle sue opere e che accompagnasse personalmente il fotografo nelle campagne fotografiche[1]. L’attenzione posta sulla luce zenitale ci obbliga infatti a riflettere sulla sezione costruttiva, lasciandoci intuire che la struttura non vuole essere mostrata, non deve entrare nella figura della spazialità interna e della luce che la definisce, poiché tutta estradossata. Spazio, Luce, Forma, Struttura: vedremo come queste parole si articoleranno negli anni successivi sulle pagine della rivista.

Ernesto Nathan Rogers, che nasce a Trieste nel 1909, ha sempre lavorato in gruppo, primo fra tutti nel gruppo che fonderà lo studio BBPR, fin dai tempi della laurea, ottenuta nel 1932 insieme ai compagni Banfi, Belgioioso e Peressutt. Lo studio perde in campo di concentramento il compagno Banfi e successivamente, nel 1946, realizza nel Cimitero Monumentale di Milano, in ricordo delle vittime dei campi, una semplice struttura di tubolare metallico, che delimita un cubo suddiviso da una croce e da alcune parti tamponate bianche e nere, che scompongono la figura in tensioni astratte; con un precoce understatement minimalista pochi elementi calibrati realizzano un suggestivo monumento[2] alla memoria e al sentimento collettivo[3].

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Dopo la guerra Moretti realizza a Milano il complesso di Corso Italia ed alcune case-albergo, sperimentando sequenze spaziali urbane e tagliando la compatta cortina stradale milanese con scorci inaspettati: l’immagine più nota è una fotografia di Giorgio Casali, che ci restituisce la violenza di un grande volume espressionista che, nell’appoggiarsi sulla bassa cortina stradale, si colloca trasversalmente alla strada ed apre lo sguardo verso l’imponente edificio residenziale del fondo dell’isolato.

Pochi anni dopo, nel 1957, lo studio BBPR nell’ergere nel tessuto antico della città di Milano la Torre Velasca, ne modifica il panorama e declina la nuova scala della città moderna con una figura antica. Il numero 232 di Casabella dedicherà la copertina alla fotografia di quest’architettura, immagine divenuta simbolo delle ancor più note parole espresse da Rogers sulle «Preesistenze ambientali», nell’articolo pubblicato in uno dei primi numeri della sua direzione, quasi una sorta di manifesto tematico[4].

Le linee editoriali

Da queste poche linee introduttive, è facile intuire le differenze tra le due figure e l’obbligo di un ulteriore confronto sulle linee editoriali.
Nella redazione della rivista Spazio Luigi Moretti fa pressoché tutto: dalla linea culturale sull’architettura all’impostazione critica di confronto con l’arte, antica e contemporanea, dalla scelta delle architetture alla scrittura di molti testi, dalla selezione delle immagini, con le loro inquadrature e tagli, fino alla loro impaginazione e montaggio, come ha ben descritto Federico Bucci nel primo libro della recente riscoperta critica di Moretti[5]. Nella stesura dei testi è accompagnato principalmente da Agnoldomenico Pica e solo occasionalmente possiamo riscontrare la firma di noti storici dell’arte, quali ad esempio Toesca o Argan o artisti come Gino Severini e Ardengo Soffici[6]. Sulle sue pagine non compare nessun grande nome del panorama internazionale moderno e le architetture presentate assumono maggiormente il ruolo di un lavoro collettivo, piuttosto che cercare di evidenziare poetiche personali. Ogni numero affianca alla presentazione di opere di architettura una rilettura di arte antica, maestri scelti, pittori classici qui presentati attraverso un particolare punto di vista, l’ingrandimento dei loro dettagli.
La ricerca svolta nei testi a firma di Moretti è quella di una rilettura materico-descrittiva di alcuni grandi momenti artistici del passato, come il romanico o il seicento, per coglierne i caratteri formali e percettivi astratti e sottolinearne il carattere di attualità e di operatività nella progetto d’architettura.
Questa linea è rafforzata dal controllo di una grafica che si va affinando ad ogni numero.
In Spazio le copertine hanno un ruolo autonomo e, malgrado la rivista non preveda mai numeri monografici, non riprende neanche i temi, così ben definiti, svolti negli editoriali; solo il terzo numero presenta una delle foto astratte che accompagnano il testo sul Barocco. Le altre copertine sono firmate da artisti e solo quella del quinto numero verrà personalmente composta da Moretti, lasciando trasparire una ricerca altra, la provocazione volumetrica che in parallelo stava svolgendo nella casa La Saracena, come ha rintracciato Annalisa Viati Navone nel suo testo[7]. Luigi Moretti inizia ad impaginare la rivista personalmente a partire dal quarto numero, come è facile intuire sfogliando i numeri nel loro insieme.
Se l’architettura che viene pubblicata nei sette numeri di Spazio è prevalentemente italiana, con una speciale predilezione alla scala dell’edificio e al tema della residenza, su Casabella-Continuità appare invece subito evidente il contesto internazionale e trasversale dei temi affrontati, con una varietà di scala che si muove dal territorio all’oggetto di design.
Nella redazione di Casabella-Continuità si costituisce un gruppo di lavoro permanente, che prenderà presto il nome di Centro Studi, con esplicito riferimento alla sua vocazione di luogo di dibattitto e di ricerca, dove confluiscono quei giovani studiosi che diventeranno presto le nuove personalità dell’architettura italiana, come Giancarlo De Carlo, Vittorio Gregotti, Francesco Tentori e Aldo Rossi, trovando modo in questo fertile contesto di coltivare le proprie, differenti e particolari, vocazioni e poetiche.

La scelta di pubblicare approfondimenti monografici accompagnerà sempre la rivista, anche se nei primi numeri l’orientamento di Rogers sarà quello di parlare di alcuni autori del primo del Movimento Moderno, non solo i grandi cioè, ma anche, soprattutto, i precursori, i primordiali; successivamente il confronto con le urgenze dell’attualità della ricostruzione del dopoguerra e la massificazione dei numeri del boom economico e la storicizzazione della riscoperta di alcuni autori spingeranno verso altre scelte editoriali.
Ovviamente anche le copertine raccontano questo percorso e la grafica che accompagna il lungo cammino di Casabella evolve di pari passo: per molti anni le copertine di Casabella-continuità resteranno bianche, cambiando periodicamente solo il colore del titolo, Casabella, e del suo intrecciarsi con la Continuità. Quando i giovani redattori prenderanno il ruolo di vicedirettori, inizieranno le colorate copertine tematiche, che anticipano i contenuti espressi all’interno. Si passa così da una copertina muta, coerente con una trasmissione del sapere non impositiva, ad una copertina di denuncia.
Malgrado le evidenti ed esplicite differenze tra le due testate, è necessario confrontare ed indagare l’uso delle immagini all’interno di queste due pubblicazioni periodiche, perché in entrambi i casi assumono un ruolo tutt’altro che secondario nella strategia editoriale. Si è provato dunque a rintracciare gli esiti formali, figurativi ed educativi di queste esperienze.

Discontinuità in Spazio

Come abbiamo già ricordato, Moretti interveniva personalmente sulla grafica dell’intero impaginato, lavorando sulle immagini e i loro tagli. È testimoniato il ricco patrimonio di immagini che il collezionista d’arte, il futuro organizzatore della galleria d’arte che erediterà il nome della rivista, Spazio, aveva tra le mani, ed appare subito evidente il ruolo che queste hanno nelle pagine dei singoli numeri, in particolare negli editoriali: l’esiguità del loro numero rende possibile una disanima dell’intera serie, per scoprire la coerenza grafica di allineamenti e disequilibri, tensioni e densità, concentrazioni di realtà e sospensioni della materia.
I sette articoli che aprono la rivista di fatto non sono editoriali canonici, nel senso di testi di introduzione ai contenuti del numero, sono bensì capitoli di un piccolo trattato di progettazione architettonica che troverà il suo esito nell’ultimo numero, con l’articolo Strutture e sequenze di spazi.
Si cita spesso il fatto che la rivista cessi la sua pubblicazione in maniera brusca, in corsa potremmo dire, e si ricorda il fatto che negli anni a venire Luigi Moretti pubblicherà i suoi fondamentali saggi su Michelangelo o su Borromini, così come Forma come struttura, come «estratti di Spazio», ma una lettura d’insieme dei sette saggi ne mette in evidenza il forte carattere unitario, nella potente capacità evocativa del montaggio di testi e immagini.
Le soppesate parole che compongono i titoli dei saggi, le fotografie delle architetture e della materia, i frammenti dei quadri, gli schemi grafici e i disegni dei progetti si compongono in un insieme indissolubile, che infatti ne ha reso difficile una loro successiva riedizione. Moretti parla, descrive l’architettura come pochi autori sanno fare, facendoci dimenticare il particolare momento storico che ha assunto ad oggetto. Colpisce l’uso del taglio, dell’inquadratura, dell’ingrandimento e del frammento, e nello stesso tempo del controllo dell’unità. Il processo di astrazione delle forme, così bene spiegato da Moretti nei suoi testi, è reso visibile nelle immagini, lavorando alla ricerca di una tale distanza dalla figura d’insieme da alludere a significati altri. Ognuno di questi dettagli viene poi rimontato nella pagina, cercando corrispondenze e relazioni tra le forme.
Nel primo numero, il saggio Eclettismo e Unità di Linguaggio Moretti ci introduce al metodo di lavoro, che vede da un lato la dichiarazione di una ricerca di un linguaggio comune, attuale e moderno, ma nello stesso tempo come questo sarà arricchito dall’individuazione, nei materiali più eterogenei, delle tensioni e della potenzialità delle densità materiche attraverso la lettura percettiva di forme e frammenti.
Anche nel secondo numero, dove presenta il testo Genesi di forme dalla figura umana, affronta il tema della figura e della sua formazione nell’atto creativo, rileggendo la scultura greca classica in questa linea.
Se questi due testi hanno carattere più generale, possiamo dire che a partire dal terzo numero, con il testo Forme astratte nella scultura barocca, si consolida questa capacità descrittiva che unisce testo ed immagine, che riconosce temi del moderno, quali l’astrazione, nell’architettura del passato, nello specifico nel Barocco. Grazie alla sua lettura impariamo a riconoscere il rapporto tra densità diverse nelle sculture barocche e a leggere il rapporto tra centri diversi e unitarietà dell’opera. Le fotografie delle fontane di Bernini o delle opere di Michelangelo o Borromini occupano quasi per intero la pagina e non sono quasi riconoscibili tanto sono scorciate e frammentate. Nello sfogliare queste pagine vi si associa subito l’immagine di una delle più belle architetture di Moretti, la casa Girasole a Roma, dove il basamento addensa materia sbozzata e la contrappone a campiture lisciate, lasciandoci intuire la contemporanea passione per l’arte informale dell’autore.
Il quarto numero presenta il saggio Trasfigurazioni di strutture murarie, dove testo e immagini giocano sulla forte contrapposizione cromatica di bianco e nero. Le trasfigurazioni sono lette come “operazioni sulla struttura tettonica e utilitaria[8]”, tra regola e variazione. Nella forte accezione cromatica, nella trasfigurazione e libertà dalla verità costruttiva e nello stesso tempo nell’affrancamento dal muro perimetrale, la parete perde dunque il suo significato evocativo della costruzione per guadagnare un ruolo astratto, di puri rapporti formali, fino al suo evidente confronto, nella stessa pagina, con le pitture di Mondrian.

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La quinta uscita della rivista presenta un testo ancora più complesso, Discontinuità dello spazio in Caravaggio, in cui si contrappone la coincidenza temporale e spaziale del Rinascimento, la sua omogeneità, con i successivi sviluppi in Michelangelo e in Caravaggio, di cui si descrive con passione lo spazio come accentuazione di ombre e di luci. Le illustrazioni che contrappuntano il testo sulle pagine offrono un controllato ed equilibrato montaggio di contrastate fotografie in bianco e nero, dove colonne bianche fanno capolino da uno spazio nero di non materia[9], di dettagli, quasi senza forma, dai quadri di Caravaggio, e dell’inserto in minore di una sua architettura di taglio: la casa albergo di via Corridoni a Milano; anche il bianco della pagina, su cui sono montate le foto, assume un peso nella composizione.
Le parole di Moretti sono estremamente esplicite e poetiche e non si può fare a meno di riportarle:
“il passaggio dall’accentramento di interessi su un’intera forma del Rinascimento, all’accentramento acuto su una sezione di forma[10], assunta come unica addensatissima realtà rappresentativa della forma stessa.[…] La realtà distesa e, con le ripetizioni delle accademie e dei manierismi, diluita per l’intera superficie del quadro, tende ad aggrumarsi in potenza di vita sufficiente […] Veri noccioli di inerzia. […] Atto terribile di esistenza. […] Deriva conseguenzialmente dall’addensamento allucinante della realtà in alcuni punti e dallo svuotamento assoluto di altri. Direi questa stereoscopicità[11] la prova da laboratorio dell’avvenuta fratturazione dello spazio. […] Ed ecco in Caravaggio allora le figure di taglio, sulle quali la potenza evocativa trova appoggio e densità più veementemente che nelle strutture frontali: in una spalla di taglio si nomina un’intera struttura umana, in breve spazio si concentra un mondo. Caravaggio […] precorre la riassunzione e l’addensamento proiettivo di un volume sul suo fianco, perforando lo spazio nel senso dello sguardo e non più fermandolo con apposizioni frontali. Così come noi moderni abbiamo, nei fabbricati a lama, per matura eredità e con esigenza precisa sentito.[12]
Allo stesso tempo è impossibile non associare a queste parole l’immagine delle opere milanesi che nello stesso periodo stava realizzando, come il volume di taglio di Corso Italia e la già citata casa albergo di via Corridoni.
La posizione teorica di questi scritti trova sempre una concreta realtà costruttiva con cui esprimersi.

In un ragionamento sulla realtà della costruzione, occorre inoltre tenere presente il senso che assumono le parole tempo e spazio nei suoi testi e il ruolo attribuito a Michelangelo quale magnifico pensatore di opere in cui le diverse strutture alludono a diversi tempi della costruzione, quasi nascesse in quel momento nell’autore la sua consapevolezza storica: ancora parole di Moretti: “Il Longhi evoca la drastica dizione di «fotogrammi» sulla quale, con esattezza, convergono significati diretti e metafisici del correre e sparire del tempo in uno con gli spazi. Quel famoso «tempo», che nasce con Michelangelo e costituisce l’antitesi secentesca alla fissità del Rinascimento, è espresso in Caravaggio su due modulazioni sovrapposte: l’una della fratturazione e discontinuità dello spazio e quindi di temporalità immanente, l’altra della palpitazione stellare dei bagliori delle forme.”[13]

Struttura, Forme, Figure, Spazio. Il dizionario architettonico di Luigi Moretti si va completando di parole e immagini e nel sesto numero della rivista si integra con una riflessione sui rapporti e sulle distanze, le pause, tra le parti. Preme sottolineare l’acuta osservazione iniziale di Moretti sullo sfalsamento tra l’arrivo delle forme astratte nell’arte del primo novecento e la sua coincidenza temporale con il rifiuto delle uniche forme astratte architettoniche, le modanature appunto. In Valori della Modanatura queste vengono lette da Moretti dapprima come strumenti per la percezione dell’oggetto architettonico, utili ad accentuarne la visione, lo scorcio e le linee figurative dell’insieme. Successivamente ne esalta il senso di forme astratte uniche, tutte giocate sull’importanza del valore, della misura, di luce ed ombra: “Le cornici sono gli spazi di una architettura ove la massima realtà si addensa, e ciò non solo per virtù della loro propria figura, ma in quanto contrapposte a spazi liberi privi di modanature. Spazi quieti per «diminuzione di densità».[14]

È abbastanza ovvio che dopo le descrizioni delle discontinuità in Caravaggio e sulle differenti densità appena descritte, si arrivi dunque all’ultimo testo Strutture e Sequenze di spazi. Il testo ripercorre in maniera più sistematica la storia dell’architettura attraverso il tema della concatenazione degli spazi, delle compressioni e dilatazioni di questo e delle sue sequenze[15]. In questo caso però le immagini vincono sul testo ed è giusto lasciar parlare la loro eloquenza: sono in gran parte le fotografie di quei particolarissimi modelli in gesso realizzati dallo stesso Moretti, in cui aveva tentato di rappresentare le densità dello spazio interno, con l’estrusione di materia all’interno dei vuoti delle architetture. La loro sequenza storica li rende una serie complessa, in cui frammenti di disegni o schemi grafici, campiture di rosso o nero, si contrappongono alle ombre delle compressioni dello spazio.
Con questo saggio si chiude l’esperienza di Spazio e la sperimentazione di una descrizione analitica dei valori percettivi del progetto che formano in Moretti il senso dell’architettura: alle parole figurazione, forma, struttura o spazio fa infatti sempre corrispondere operazioni sul corpo architettonico che lavorano sulla densità, sulle dilatazioni e sulle tensioni, nel trasformare l’immaterialità dello spazio nel diluirsi della materia.

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Struttura e Forma sono parole che Moretti riprenderà spesso successivamente, perché nella sua concezione dell’architettura materia, struttura e non materia, lo spazio cioè, si integrano e si completano[16].
Negli anni recenti si è molto teorizzato sul rapporto con le arti figurative in maniera astratta e teorica, mentre in questi testi nessun confronto teorico è chiamato in causa, a favore di una descrizione precisa di fatti in un continuo passare dall’arte all’architettura e viceversa[17].
Possiamo dunque dire che i sette saggi che compongono il corpus degli editoriali della rivista esprimono con tale forza una posizione teorica, dove ogni capitolo affronta un tema formale del progetto d’architettura, da poter dire che il loro insieme si presenta come un trattato sulla composizione architettonica.

Continuità in Casabella

Ernesto Nathan Rogers ha sempre usato in modo attento le immagini nei suoi testi, stabilendo di volta in volta predilezioni e consuetudini. Possiamo azzardare l’ipotesi che nel caso di Rogers vi sia una sorta di autonomia delle illustrazioni, che il loro uso sia determinato da una volontà di esprimere alcuni temi precisi, di cui l’immagine è espressione strumentale di un pensiero concettuale, piuttosto che materiale visivo puro come abbiamo visto in Moretti.

La passione di Rogers per le forme del primo Novecento, per il movimento della linea del Liberty e dell’art nouveau o per le incertezze del protorazionalismo, è stata vista come l’attenzione ad un momento preciso del processo progettuale, a quando c’è la rivoluzione delle forme[20], mettendo in evidenza la libertà e le potenzialità di apprendere da figure ancora indecise, in formazione, non ancora ghiacciate in splendide icone inutilizzabili per pensare il nuovo, l’altro.

Rogers è architetto attento, preciso studioso di forme e scale del progetto e delle loro possibilità materico-costruttive, ma soprattutto pensatore che offre i materiali della storia alle poetiche dei futuri architetti: non è un caso che sia spesso protagonista dei suoi saggi una immagine molto amata da Rogers, una foto di un muro dell’Acropoli di Atene, presente sia in Casabella che in Esperienza dell’Architettura, a cui sembra naturale associare ancora le parole di ENR: gli oggetti diventano antichi quando hanno superato di essere vecchi, ma questa è qualità di pochi esempi selezionati. Quando diventano antichi ridiventano patrimonio attuale e possiamo farne uso pratico e quotidiana consumazione culturale.[21]
È noto che Casabella era il luogo dove venivano pubblicati i Maestri del Moderno, la loro declinazione nella cultura alta della professione italiana, ma sulle sue pagine troviamo anche l’accorata documentazione di tradizioni e culture in estinzione: Rogers, soprattutto nei primi anni, sceglie il suo Moderno, e sceglie di raccontarcelo con un particolare punto di vista.
Le immagini mostrano edifici inseriti nello scorcio del contesto così come zoomate sulle partiture di facciata dove l’intero dell’architettura non è più leggibile. Due estremi, la veduta d’insieme e il dettaglio costruttivo.
Il particolare e nello stesso tempo l’universale. Tra le affascinanti fotografie di Werner Bischof[23], sceglie quelle migliori per esaltare l’uso del dettaglio, ma anche per spiegare il generale, due poli in tensione, per non cadere nella mancanza di prospettiva, nell’assenza di futuro dell’unicità dell’intero. È il carattere astratto di questi frammenti di architettura a lasciare figurare il loro possibile montaggio in una nuova architettura.
Ma la fotografia non è disegno grafico, e Rogers usa i particolari fotografici soprattutto per il loro aspetto materico, solitamente assente nella descrizione grafica.

Per Rogers l’accezione particolare di ogni moderno è compresa proprio nel confronto con un tempo e un luogo. Ogni momento è inserito nel dramma dell’esistenza e non può essere considerato entità astratta, e la materia è lo strumento per la rappresentazione di un momento storico. Così quando dice che “nel caso del moderno, possiamo parlare di processo di stilizzazione”, vuole sottolineare la fase in cui il carattere, attraverso la materia, trova espressione formale in una precisa cultura, in un tempo e nella personalità che li interpreta. Sarà proprio la concretezza della specificità della costruzione nella materia a liberare la forma dall’assurda banalità della sua ripetizione e a obbligare ogni nuovo artista a scoprire relazioni inedite tra forma, materia e significato.

Confronti, analogie ed esiti

Attraverso il confronto delle caratteristiche iconografiche e critiche di queste due riviste milanesi, possiamo sottolineare alcune evidenti analogie rispetto alla capacità comunicativa dei loro direttori, soprattutto quando questi riescono a trasmettere una posizione fortemente propositiva, potremmo dire teorica, senza volerla costringere nelle pagine ingessate dell’accademia e della sistematizzazione saggistica; in questo aiutati da una comune passione per la libertà esplicita delle immagini fotografiche, spesso attraverso l’uso del ritaglio, con cui intervenivano fino al loro rimontaggio in altre unità compositive, figurative o di senso.
Anche il confronto con una lettura operativa della storia accomuna i due autori: il romanico ed il barocco di Moretti, l’arcaico e la tradizione in Rogers. Anche in questo caso il tema del frammento, della vista ravvicinata e della sua astrazione dal tempo e dal luogo, accomuna i due autori; per Moretti questo è strettamente legato al testo che lo accompagna, mentre nel caso di Rogers assume quasi carattere simbolico autonomo.
Gli esiti sono conseguentemente molto diversi: nel caso di Luigi Moretti la mente corre al fascino delle sue architetture, quasi mai pubblicate sulla rivista, ma così presenti nelle nostre menti per la loro forza iconica, mentre nel caso di Rogers educatore il lascito sembra essere affidato alla matita, così diversa, degli allievi.

[1] Cfr. Angelo Maggi, Moretti, i fotografi e la visione dell’architettura, in Luigi Moretti. Razionalismo e trasgressività tra barocco e informale, a cura di Bruno Reichlin e Letizia Tedeschi, Electa, Milano, 2010.

[2] Ernesto Nathan Rogers ha ripreso più volte nei suoi scritti l’etimologia della parola Monumento: Moneo e memento, ammonire e ricordare.

[3] Bruno Reichlin, Ulrike Jehle-Schulte Strathaus, Parole di pietra, Architettura di parole, in Il segno della Memoria, 1945-1995, a cura di Marko Pogacnik, Triennale di Milano, Electa, Milano 1995.

[4] Ernesto Nathan Rogers, Le preesistenze ambientali e i temi pratici contemporanei, in Casabella, n° 202, 1954.

[5] Federico Bucci, Le parole dipinte, in Federico Bucci, Marco Mulazzani, Luigi Moretti, opere e scritti, Electa, Milano 2000, p. 136.

[6] Cecilia Rostagni, Matematica e la rivista «Spazio», in Luigi Moretti.1907-1973, Electa, Milano 2008, p.74.

[7] Annalisa Viati Navone, La Saracena di Luigi Moretti, tra suggestioni mediteranee, barocche e informali, Silvana Editoriale, Mendrisio 2012, p. 57-61.

[8] Luigi Moretti, Trasfigurazioni di strutture murarie, in Spazio, n° 4, gennaio – febbraio 1951, p. 7.

[9] “non riesco ad allontanare l’immagine dell’atmosfera di Roma con il sole a piombo, nei solstizi estivi; e Caravaggio, giovine, alla sua prima o seconda estate sulle strade di Roma a pieno meriggio, tra le ombre profondissime distese su palazzi e chiese, e, contro l’ombre, gli scatti improvvisi di luce, apparizioni, di un gonfio di colonna, di una lama di cornice. Roma col sole a picco ha uno sparire di forme nelle ombre e uno splendore di luci che non si conosce in altro luogo. […] L’accentuarsi di luci su alcuni elementi plastici che così esaltati assumono il ruolo di indicatori della sintassi della forma, scattando per prime le colonne alla luce. […] Il barocco romano frattura così lo spazio architettonico strutturalmente e coincidentemente per luce e ombra.” Luigi Moretti, Discontinuità dello spazio in Caravaggio, in Spazio, n° 5, luglio – agosto 1951, p. 8.

[10] Nota dedicata ai lettori spagnoli: cfr. il noto saggio Un objecto es una sección, in Juan Navarro Baldeweg, La habitación vacante, Editorial Pre-textos, Valencia, 1999, p. 43.

[11] Dal vocabolario Treccani: stereoscopìa s. f. [comp. di stereo- e -scopia]. – In biologia, la percezione del rilievo di un oggetto, e quindi della distanza tra gli oggetti, che si ha in conseguenza della visione binoculare, e che dipende dalla distanza dell’oggetto che si osserva (diminuendo al crescere di questa) e dal grado di illuminazione che l’oggetto riceve, diminuendo fortemente, e praticamente annullandosi, se dalla visione diurna si passa a quella crepuscolare.

[12] Luigi Moretti, Discontinuità dello spazio in Caravaggio, in Spazio n° 5, 1952, p. 1-8.

[13] ibidem.

[14] Luigi Moretti, Valori della modanatura, in Spazio, n° 6, dicembre 1951 – aprile 1952, p. 8.

[15]Non si tratta di suggerire a scala ridotta l’effetto che produce lo spazio interno dell’edificio rappresentato, come l’abituale modello cavo, ma di spostare l’attenzione su fatti, aspetti e configurazioni solitamente ignorati o trascurati, mettendo in evidenza, analiticamente, le sequenze spaziali, le giunture fra spazi, la loro addizione e/o compenetrazione, l’interfaccia fra spazio e struttura. Sono modelli cognitivi che selezionano (“parametricamente”?) determinate qualità dell’architettura e che permettono a Moretti di elevare la spazialità a categoria critica, e di auscultare le relazioni di rispecchiamento che lo spazio intrattiene con gli altri modi d’esistenza dell’architettura: la funzione, la struttura (e, quindi, la distinzione fra ‘schema ideale’ e costruzione reale), la plasticità, la luce ecc.” Bruno Reichlin, Figure della Spazialità. Strutture e Sequenze di spazi versus “lettura integrale dell’opera”, in Luigi Moretti. Razionalismo e trasgressività tra barocco e informale, a cura di Bruno Reichlin e Letizia Tedeschi, Electa, Milano, 2010, p. 32.

[16] “Il mondo delle forme si rivela a noi mediante le differenze che scattano tra forma e forma. Il che equivale a dire che ciascuna forma non è da noi appresa per qualcosa in sé, ma per quel complesso di avvertimenti, di differenze che la tagliano rispetto alle altre forme contigue; contigue si intende nello spazio o nella memoria. […] Una forma non elementare è costituita da un gruppo di differenze tra loro legate da relazioni che ne esprimono e ne obbligano l’ordinamento e la conseguenzialità. Il complesso di queste relazioni è la struttura della forma, la quale pertanto è appunto esprimibile in astratto come un insieme di pure relazioni. […]Più preciso è dire che vi sono rilevabili le diverse strutture, delle quali ciascuna definisce una serie omogenea di differenze, e cioè la struttura del chiaroscuro, la struttura dei rapporti statici, la struttura degli spazii, la struttura dei rapporti plastici, la struttura delle superfici come entità geometriche, la struttura della densità di luce, ecc. […] raggrumando energie , dilatando con estremo coraggio spazii, concentrando luci e addensando ombre” Luigi Moretti, Forma come struttura, da Spazio, estratti, giugno – luglio 1957, ora in Federico Bucci, Marco Mulazzani, Luigi Moretti, opere e scritti, Electa, Milano 2000, p. 182-184.

[17] “Scandire l’individualità. Le modanature acquietano o esaltano l’elemento singolo sempre in funzione di quella struttura ideale che governa l’intera rappresentazione architettonica e che lèvita, corruga e addensa le superfici per mezzo delle quali si rivela.” Luigi Moretti, Valori della modanatura, in Spazio, n° 6, dicembre 1951 – aprile 1952, p. 12.

[18] ‘Un processo di forme possibili che si aprono a nuove relazioni’, in Enzo Paci, Relazioni e Significati, Lampugnani Nigri Editore, Milano 1965. È nota l’influenza su Rogers del pensiero fenomenologico dell’amico Enzo Paci.

[19] Salvatore Veca, In ricordo di Enzo Paci, il filosofo e l’architetto, in QA15, Clup CittàStudi, Milano1993.

[20] Da un’intervista a Cesare Macchi Cassia, allievo di Rogers. Matilde Baffa, giovane redattrice di Casabella di quegli anni, le ha chiamate Forme allusive. Giovanni Marras le definisce invece Forme in processo, in La città come testo, Autonomia del linguaggio architettonico e figurazione della città, Dottorato in Composizione Architettonica, IUAV, Venezia 1992.

[21] Questo l’incipit di ENR dell’articolo del 1964 su Le Corbusier, in Editoriali di Architettura, Einaudi, Torino 1968.

[22] Se le prime due copertine parlanti rappresentano il Seagram Building e uno schizzo di Le Corbusier, la terza annuncia, nella scelta di Ridolfi, il confronto con il farsi della nuova architettura italiana.

[23] ‘Ciò che distingue l’opera di Werner Bischof è questa qualità di rivelare, attraverso i particolari, il significato universale delle cose nella più densa accezione umana: la continua partecipazione all’atto estetico con la simpatia di tutti sentimenti, sicché essa non è soltanto un album di belle immagini ma un documento della storia degli uomini.’ in ENR, Architettura e Fotografia, in Casabella-Continuità, n° 205, aprile-maggio 1955.

Bibliografia / Bibliography
Ernesto Nathan Rogers, Esperienza dell’architettura, Einaudi, Torino 1958.
Federico Bucci, Marco Mulazzani, Luigi Moretti, opere e scritti, Electa, Milano 2000.
Cecilia Rostagni, Luigi Moretti.1907-1973, Electa, Milano 2008.
Luigi Moretti. Razionalismo e trasgressività tra barocco e informale, a cura di Bruno Reichlin e Letizia Tedeschi, Electa, Milano, 2010.
Annalisa Viati Navone, La Saracena di Luigi Moretti, tra suggestioni mediteranee, barocche e informali, Silvana, Mendrisio 2012.
Ernesto Nathan Rogers 1909-1969, a cura di Chiara Baglione, Franco Angeli, Milano 2012.